venerdì 26 marzo 2010

Resoconto SOS Haiti Malaki ma Kongo

di Masengo ma Mbongolo

Eccoci di ritorno da Haiti dopo il sisma. Un viaggio di dieci giorni, o piuttosto una spina in gola che ci impedisce di capire se siamo effettivamente di ritorno o se dobbiamo ripartire al più presto.
Come si può spiegare che a differenza dell’impegno e dell'efficacia degli aiuti umanitari all'epoca dello Tsunami nelle Isole Maldive, ad Haiti - a due mesi dal terribile terremoto, dopo una mobilitazione internazionale straordinaria degli Stati e dei popoli di cinque continenti e di istituzioni umanitarie internazionali che hanno portato beni e aiuti di ogni sorta - una volta arrivati sul terreno, ci si rende conto che il disastro è totale e che gli aiuti non sono stati che uno scoop della stampa internazionale? DI TUTTI QUESTI AIUTI NIENTE è ARRIVATO AD HAITI, TUTTO è RIMASTO BLOCCATO ALLE FRONTIERE FRA HAITI E SANTO DOMINGO E GLI HAITIANI CONTINUANO A MORIRE DI FAME.

Non abbiamo una soluzione a questo fenomeno, se non di dire alla gente che se dopo il 1804 la Comunità Internazionale non ha ancora organizzato una Conferenza Internazionale su Haiti, è perchè il cammino per raggiungere la vittoria haitiana è ancora lungo. Per questo il popolo haitiano non deve che seguire senza sosta il cammino tracciato dai loro antenati, i Nèg Mawon (neri fuggiaschi) (« Bua keti ba Nsi Buabuneeennn » « Un altro ONU è possibile”). E nella stessa logica ci siamo chiesti: quale cambiamento può attendersi Haiti dall'effervescenza del sostegno umanitario della Comunità Internazionale?

NULLA, hanno risposto in maniera secca - ognuno per conto proprio - due figure: Gian Franco, noto albergatore italiano installato a Port au Prince dagli anni '80, e Carl Henri Desmornes, haitiano, Direttore della Radio Planète Kreyol. É duro e amaro rendersi conto che la fatica che stiamo facendo e gli sforzi della Comunità Internazionale - che hanno avuto degli esiti positivi dappertutto nel mondo - stanno affondando in queste sabbie mobili della problematica "Haiti". Non è solo sadico, ma anche criminale. Allora non ci resta che chiedersi: chi trarrà profitto da questo crimine?

Prima di rispondere a questa domanda - che ci obbligherà a scavare nei meandri storici dell'unica rivolta di schiavi che si concluse con la creazione della prima Repubblica Nera indipendente e moderna, che con il tempo si rivelò essere la base di appoggio di tutte le rivoluzioni e lotte di indipendenza che hanno scosso la parte Ovest dell'Atlantico: dal Cile fino agli Stati Uniti - lasciateci presentarvi gli alti e bassi della Missione Umanitaria SOS Haïti Malaki ma Kongo.

Quando mettemmo piede a Santo Domingo, capimmo che la parola "Haiti" - tradizionalmente assimilata alla povertà - aveva curiosamente cambiato veste. Haiti era divenuta sinonimo di dollari americani. E il nostro accompagnatore Elien Isac, presidente di Malaki ma Kongo Haiti, che facemmo venire a Santo Domingo a prenderci al nostro arrivo, ci consigliò di non prendere i grandi e bei bus turistici per evitare problemi alla dogana. Si sapeva che gli "stranieri portatori di aiuto umanitario" prendono questi bus. E alla frontiera, il Governo haitiano aveva ordinato di bloccare tutti i bagagli di aiuto umanitario oppure di sovratassarli, fino a 15.000 dollari a valigia, a causa del fatto che la Comunità Internazionale ritiene che il Governo haitiano non sia in grado di gestire gli aiuti umanitari.
Così per nascondere le nostre valigie, dovemmo togliere tutte le etichette con scritto “Medical Aid / “Humanitarian Aid" dalle valigie e infilarle dentro a sacchi neri di plastica, sigillandoli con del vecchio nastro adesivo. Prendemmo i mini bus ordinari per non attirare l'attenzione degli Ufficiali haitiani. Ma anche queste precauzioni non ci fecero passare inosservati. Almeno però riuscimmo in un primo momento a far abbassare le sovratasse doganali da 15.000 a 1.500 dollari grazie a Elien Isac, il nostro accompagnatore, che si era premunito di preparare i documenti appropriati. Lui è giornalista di una delle radio più importanti di Port au Prince, la « Radio Planète Kreyol », e riuscì ad utilizzare tutta la sua influenza e farci passare senza alla fine pagare nulla.

Il problema è che da una parte c'è la Comunità Internazionale che ritiene il Governo haitiano inadatto a gestire i fondi, le donazioni e gli aiuti umanitari destinati ad Haiti. Essa vuole farli gestire dalle grandi ONG internazionali. Dall'altra c'è il Governo haitiano che quando va da un Paese all'altro alla ricerca di aiuti, gli viene risposto che hanno già donato gli aiuti alle organizzazioni internazionali. Questo frustra il Governo di Haiti, che in questo “gioco di ping pong” si ritrova mani e piedi legati. In risposta a tutto ciò si è detto: "Voi ci tagliate fuori da tutte le fonti di aiuto e al di fuori dal Paese, allora noi tasseremo tutti gli arrivi degli aiuti umanitari in modo che arrivi qualcosa anche a noi per gestire l’emergenza nel nostro Paese". Quindi blocca gli aiuti alle frontiere o impone delle sovratasse per obbligare la Comunità Internazionale a negoziare. In questo braccio di ferro è il popolo haitiano a soffrire.


Alla fine raggiungemmo l'emblematica città di Port au Prince, accolti dal mare uscito smisuratamente dal suo lido, dai campi dei rifugiati e dalla meravigliosa statua delle "Tre mani di Aristide"che sostengono il Globo terrestre. Curiosamente, questa statua, situata vicino all'aeroporto, che rividi per l'ennesima volta dopo il 2002, sembrava parlarmi. Sembrava dirmi: "Non preoccuparti Masengo, le mie mani vegliano su Haiti Mama Libertè! Se 206 anni fa Haiti rifiutò la schiavitù e scelse il cammino della libertà e dell'indipendenza, oggi tutto ricomincia, il lupo si è ritravestito da agnello. Ma non ti scoraggiare Masengo, li smaschereremo tutti... Non torneremo mai più nella schiavitù dei coloni. "

Ah! Siamo arrivati al Campo di Marte, questo grande e storico luogo della rivoluzione haitiana, completamente irriconoscibile, preso d’assalto dalla popolazione impaurita dalle ripetute scosse di terremoto. Mi venne sussurrato all'orecchio che tutto era crollato ad eccezione del Museo di Storia Haitiana e delle Statue della Memoria. Mi precipitai per andare a salutare la mia amica: la statua «Nèg Mawon » (Negro Fuggiasco). Inghiottita da tutto il chaos di tende prefabbricate, si sono per fortuna presi di cura di lasciare un po' di spazio a questo negro. Eccolo là il mio Nèg Mawon. Fui contento di ritrovarlo sano e salvo, e approfittai dell'occasione per andare a dedicargli due poemi, uno in lingua francese e uno in kikongo, di cui ecco qui qualche strofa:

Colui che è chiamato a fare lo spazzino dovrebbe spazzare le strade così come Michelangelo dipingeva, o Beethoven componeva, o Shakespeare scriveva. Dovrebbe spazzare le strade così bene che tutti gli ospiti del cielo e della terra si dovrebbero fermare per dire che qui ha vissuto un grande spazzino che faceva bene il suo lavoro.
MARTIN LUTHER KING

E quando iniziai la poesia in kikongo, due giovani haitiani, benchè affamati, si fermarono ad osservare uscire dalle mie labbra delle parole cadenzate in una lingua magica alle loro orecchie.
« Buaketi ba Nsi ! Weti kudelekesa ni kubaka Nga kuo lubwetete na mu kanga ga lutetete Ha nto za tsiozi zaadi ba kua ndikila Ndundundu, mundumbu mu bulundu Ka buaketi ba Nsi, buabuneeenn! Ka buaketi ba Nsi, buabuneeenn!

(“un altro mondo è possibile”)
« Buaketi ba Nsi, di Muanga Sengha»

Dopo esser entrato in comunione con gli antenati, gettai uno sguardo furtivo attorno a me e... vi ritrovai un po' di tutto, tutto quello che la gente era riuscita a recuperare per potervici passare la notte: tende di cartone, tavole, foglie di palma, stoffe, plastica o anche pezzi di stoffa o cartone buttati per terra per dormirvici sopra. Alcuni avevano improvvisato dei negozi e ristoranti di fortuna, per poterci far fruttare le poche risorse sfuggite al sisma e dire al mondo che "Haiti è viva", come quel piccolo haitiano che - dopo due settimane passate sotto le macerie, senza bere nè mangiare - ne uscì alzando le braccia come per dire ai suoi salvatori e alla Comunità Internazionale "Haiti è una fenice che rinasce sempre dalle proprie ceneri e nulla si farà ad Haiti senza gli haitiani.”

Haiti Anno Zero, è quello che si percepisce attraverso i discorsi nei media occidentali con la negazione dell'esistenza di tutte le Autorità ad Haiti. Una volontà secolare di voler cancellare Haiti dalla mappa del Mondo, come se Toussaint Louverture, Dessalines, Kapua Lamort e altri non fossero mai esistiti. È vero che Haiti è stato davvero fortemente scossa, cominciando dalla cupola del suo prestigioso Palazzo Presidenziale che si è ritrovato a terra, ma basta solo questo per dire che lo Stato di Haiti è inesistente? Tutti i giorni la stampa internazionale amplifica la miseria, il brigantaggio ad Haiti, ma non la sua bravura, le sue azioni di dignità, di resistenza, di silenziosa lotta contro la miseria: tutto questo passa inosservato. Non è là l'albero che nasconde la foresta? Non ci resta che ricreare Il Codice Nero

Il nostro punto di arrivo è Montagne Noire, una periferia della città, subito dopo Pétionville, precisamente da Elien Isac, maestro di vudù di quarta generazione, Presidente di CECILE e MALAKI MA KONGO Haiti . Qui il terremoto non ha fatto danni troppo ingenti e i membri di Malaki ma Kongo Haiti che rimasero feriti vennero qui a trovare rifugio. L'indomani, dopo aver preso contatto con gli altri responsabili di Malaki ma Kongo Haiti, spiegammo loro il senso della nostra missione, ripartita in tre fasi come segue:
1- Portare alle comunità haitiane di Malaki ma Kongo Haiti degli aiuti per le cure di emergenza e alimentazione (3 mesi)
2- Attualizzare il programma di accompagnamento nel campo educativo, agricolo e di piccolo allevamento (nei prossimi 12 mesi)
3- Creare un'unità interna di sostegno all'agricoltura, allevamento e educazione (nei prossimi 18 mesi)

Presto detto e presto fatto, ci mettemmo dunque al lavoro. Il maestro Elien ci portò prima di tutto alla Radio Planète Kreyol dove egli conduce tutti i giorni un'emissione, "Kiltir Kreyol" (Cultura Creola) per spiegare al grande pubblico l'obiettivo della nostra missione e le difficoltà di trovare riso da comprare a Port au Prince. Infatti girammo la capitale per due giorni in cerca di riso, alimento base che è divenuto un lusso in Haiti. Andammo perfino a vedere le "grandi" ONG umanitarie per vedere se ci potevano vendere dei sacchi di riso. ...niente da fare: una ONG internazionale europea (di cui non faremo il nome), ci sballottò a destra e sinistra, proponendoci alla fine dei sacchi di caramelle da donare a dei bambini che hanno fame da due mesi…: avendo a questo punto veramente rasentato il ridicolo, mi ricordai che mi trovavo sul suolo haitiano, e che questo paese ha un conto aperto con le potenze colonizzatrici e schiaviste che da sempre chiedono ad Haiti di spogliarsi dei propri diritti, della propria spiritualità, di tutte le proprie divinità, in particolare oggi che la terra ha tremato e che tutti i suoi simboli sono stati rasi al suolo…

Rimaneva da vedere se in questo braccio di ferro gli haitiani si sarebbero spogliati della loro identità, di cui sono fieri, per piegarsi alle nuove forze neocoloniali, le stesse che da due secoli hanno organizzato un embargo intorno ad Haiti per evitare agli altri paesi la contaminazione da “sindrome del male haitiano”: la libertà, l'uguaglianza, la fratellanza, la gioia di vivere insieme rispettando ognuno. Nella logica politica occidentale, l'aiuto gratuito nelle relazioni fra Stati non esiste. Il terremoto che ha raso al suolo Haiti è dunque un'occasione per tutte le potenze coloniali sconfitte in passato di riprendere il controllo.

Grazie a Dio, un colpo di telefono di un amico di Elien ci permise di trovare del riso in un magazzino della periferia. Affittammo un camion, comprammo dei sacchi di riso, dello zucchero e dell'olio. Coprimmo tutto con delle tavole, per evitare di suscitare la gelosia degli altri affamati lungo la strada, perchè “un ventre affamato non ascolta”, si dice. Ed ecco che partimmo così verso l'entroterra del paese. Haiti significa "terra alta", e cominciammo a comprenderlo sempre più, mano a mano che salivamo. La strada montava ripida, la vista della città era sempre più lontana dietro noi e lasciava spazio a un paesaggio di montagna fatto da grosse rocce e da ghiaia. La strada era molto stretta, irta e si perdeva nelle montagne.
Dopo tre ore il camion si fermò, non potendo superare un tratto di fiume troppo profondo.
Dalla montagna cominciarono a scendere uomini, donne e bambini, presero uno o due sacchi sulla testa o sul dorso d'asino, senza dimenticare le medicine, e proseguimmo lungo il fiume, da una parte all'altra dello stesso. Tre ore di cammino lungo il fiume, poi ancora altre tre ore di salita su queste montagne rocciose e con le grotte dove si ritirarono Toussaints Louverture e i suoi soldati per pianificare altri attacchi per combattere contro gli schiavisti.
Eravamo sfiniti, la notte era già fonda, per fortuna una bella luna schiariva il sentiero. Quelli che trasportavano sacchi da 25 kg sulla testa rallentarono il passo per aspettarci, come se fossimo stati noi i terremotati e affamati. Partiti alle 19,30, fu alle 01,20 che gli ultimi del nostro gruppo arrivarono a MAKONGO, uno dei villaggi che costituiscono Bellefontaine. Io non ero in gran forma e fu a dorso di cavallo che terminai gli ultimi 40 minuti di cammino.


La Vita a Makongo- BelleFontaine
É il nostro compagno di viaggio, l'italiano Daniele Sciuto, medico di Find the Cure, l'associazione sorella di Malaki ma Kongo in questa prima fase della missione, che ebbe il privilegio di raccontarci quello che vide al villaggio di Makongo, un nome molto simile a quello della nostra associazione. "Erano tutti là ad aspettarci, al buio. Sembravano numerosi, mi diedero la mano, quasi increduli che fossimo arrivati fino a lassù. Di già una pentola di acqua bolliva sul fuoco di legna, e subito cucinarono del riso con un po' di fagioli Congos. Tutti insieme, mangiarono come se si fosse trattato del più buon piatto del mondo. Raschiarono la pentola fino all'ultimo chicco. Se potessi farvi un regalo di ringraziamento, vi offrirei per un istante la vista di quella cena, varrebbe più di tutte le mie parole. Cari amici che ci avete dato dei doni da portare ad Haiti, quando vi chiederanno: "Cosa avete fatto per Haiti?" potete rispondere con orgoglio "Abbiamo portato del cibo e dei medicinali alla popolazione di Bellefontaine." Credetemi, ditelo semplicemente e senza paura, e soprattutto quelli che conoscono bene Haiti rimarranno attoniti e non crederanno alle loro orecchie. Pensate infatti che da quando Bellefontaine esiste, sono il primo medico ad averci messo piede."

Tutto cominciò con un SOS lanciato da Malaki ma Kongo che diceva esattamente così:
“Haiti è sotto choc. L'associazione Malaki ma Kongo chiede la vostra generosità per aiutare i feriti di Montagne Noire, uno dei quartieri della periferia di Port au Prince, spesso dimenticata negli aiuti umanitari, e dove Malaki ma Kongo-Haiti è installato dal 2002.
I fondi serviranno a:
- Aiutare per le cure di emergenza
-rinforzare il nostro programma di accompagnamento delle piccole attività agricole e del piccolo allevamento.
Il mondo è uno solo, prendiamone cura."

Il giorno seguente dalle 9,00 alle 19,30, in un villaggio dove perfino la luce di candela è un lusso, fino a notte fonda curammo circa 150 malati. Fummo costretti a fermarci per mancanza di luce, nonostante la domanda di cure non faceva che crescere. Era per noi un dovere umano portare il nostro sostegno alle comunità di Malaki ma Kongo Haiti, e soprattutto a Makongo-Bellefontaine, il villaggio natale di Elien Isac, sperduto su delle montagne pressochè infinite. La distribuzione del riso si fece tranquillamente e ciascuno dei malati ripartiva tutto contento. Alla nostra partenza per un altro villaggio, nel primo mattino, un'anziana del villaggio strinse la mano a Daniele Sciuto fra le sue piccole mani e disse: "Grazie e arrivederci, ma sicuramente non su questa terra". Dopo aver visto per la prima volta un medico moderno nel suo villaggio all'età di 75 anni , aveva pensato che questo evento meraviglioso non si sarebbe ripetuto che dopo un altro secolo.
Secondo il dr. Daniele Sciuto, curammo circa 150 persone al giorno nei quattro villaggi che visitammo. E questo fu meraviglioso, perchè in tempi di crisi la gente diviene irrequieta e aggressiva davanti al cibo, fino al punto di combattere e litigare per esso. Ma il contatto creato con le visite mediche ridonò loro speranza e creò un'atmosfera di stima e aiuto reciproco.

Per concludere, possiamo dire che avevamo avuto ragione di preoccuparci. All'epoca del mio ultimo viaggio in Haiti nel 2008, subito dopo gli uragani, avevo notato che l'aiuto umanitario si era fermato a Port au Prince. Questo è ciò che spiega le nostre grida di SOS per Haiti Malaki ma Kongo dopo il terremoto di quest'anno.
Allora come oggi, non c'è nessuna traccia di aiuti umanitari nell'entroterra di Haiti, tuttavia anche qui la terra ha tremato, anche in questi angoli remoti le case sono cadute. Con la differenza che qui si vive ancora più isolati dal resto del mondo e privi di tutto. Al nostro ultimo passaggio a radio Planet Kreyol, abbiamo difeso l’entroterra del paese. Abbiamo insistito sulla quiete, la dignità, il coraggio della popolazione di BelleFontaine. Malgrado la carestia, la miseria la sete e la durezza dei tempi della vita sulle montagne, queste popolazioni che vivono nei sentieri dove camminava Toussaint Louverture chiedono ai governanti ed alla Comunità Internazionale solo una cosa, IL RISPETTO DEI DIRITTI DELL’UOMO.

Le ultime notizie da Haiti che ci sono pervenute dicono che dopo il nostro soggiorno in Haiti e tutto il baccano che ne ha seguito nella stampa haitiana, una delegazione di giornalisti italiani, 8 in totale, ha finalmente lasciato la sua “isoletta dorata” di Port au Prince, dove conduce una vita da gran signori, per recarsi a Belle Fontaine, e alcune associazioni ed organizzazioni di massa haitiana cominciano a chiedere i conti alle autorità nazionali ed internazionali

Il viaggio è stato faticoso, duro, ma allo stesso tempo bello e siamo pronti a rifarlo per il grado di umanesimo che comporta. L'ultima notte, al Centro CECILE MALAKI Ma KONGO, le cure per i membri delle associazioni dei vudù, cominciate alle 18H00, proseguirono fino alle due della mattina. Un certificato di onore e merito per l'aiuto alla popolazione haitiana fu attribuito a Masengo e Daniele durante una manifestazione di danza tradizionale che proseguì fino a mattina.

Un grande Grazie a quelli che hanno creduto, hanno sostenuto e vorranno sostenere ancora la nostra Missione SOS Haiti Malaki ma Kongo.

Il nostro lavoro infatti non si conclude qui.
Dopo la fase di emergenza c'è ora la fase di sostegno nella ricostruzione di Haiti.
Vogliamo combattere la fame e la povertà attraverso la seconda fase del nostro progetto, che prevede un programma di agricoltura e piccoli allevamenti. Senza grandiose pretese, ma con il solito nostro modo di agire magari modesto, ma CONCRETO e diretto. E soprattutto, A FIANCO DEGLI HAITIANI.

Maggiori aggiornamenti saranno pubblicati su questo blog.

... restate con noi.


Masengo ma Mbongolo
Coordinateur Général du Tricontinental
Malaki ma Kongo
+39 349 33 29 339
info@malakimakongo.net
www.malakimakongo.net

Bua keti ba Nsi Buabuneen !!!" un altro ONU è possibile...