venerdì 26 marzo 2010

Resoconto SOS Haiti Malaki ma Kongo

di Masengo ma Mbongolo

Eccoci di ritorno da Haiti dopo il sisma. Un viaggio di dieci giorni, o piuttosto una spina in gola che ci impedisce di capire se siamo effettivamente di ritorno o se dobbiamo ripartire al più presto.
Come si può spiegare che a differenza dell’impegno e dell'efficacia degli aiuti umanitari all'epoca dello Tsunami nelle Isole Maldive, ad Haiti - a due mesi dal terribile terremoto, dopo una mobilitazione internazionale straordinaria degli Stati e dei popoli di cinque continenti e di istituzioni umanitarie internazionali che hanno portato beni e aiuti di ogni sorta - una volta arrivati sul terreno, ci si rende conto che il disastro è totale e che gli aiuti non sono stati che uno scoop della stampa internazionale? DI TUTTI QUESTI AIUTI NIENTE è ARRIVATO AD HAITI, TUTTO è RIMASTO BLOCCATO ALLE FRONTIERE FRA HAITI E SANTO DOMINGO E GLI HAITIANI CONTINUANO A MORIRE DI FAME.

Non abbiamo una soluzione a questo fenomeno, se non di dire alla gente che se dopo il 1804 la Comunità Internazionale non ha ancora organizzato una Conferenza Internazionale su Haiti, è perchè il cammino per raggiungere la vittoria haitiana è ancora lungo. Per questo il popolo haitiano non deve che seguire senza sosta il cammino tracciato dai loro antenati, i Nèg Mawon (neri fuggiaschi) (« Bua keti ba Nsi Buabuneeennn » « Un altro ONU è possibile”). E nella stessa logica ci siamo chiesti: quale cambiamento può attendersi Haiti dall'effervescenza del sostegno umanitario della Comunità Internazionale?

NULLA, hanno risposto in maniera secca - ognuno per conto proprio - due figure: Gian Franco, noto albergatore italiano installato a Port au Prince dagli anni '80, e Carl Henri Desmornes, haitiano, Direttore della Radio Planète Kreyol. É duro e amaro rendersi conto che la fatica che stiamo facendo e gli sforzi della Comunità Internazionale - che hanno avuto degli esiti positivi dappertutto nel mondo - stanno affondando in queste sabbie mobili della problematica "Haiti". Non è solo sadico, ma anche criminale. Allora non ci resta che chiedersi: chi trarrà profitto da questo crimine?

Prima di rispondere a questa domanda - che ci obbligherà a scavare nei meandri storici dell'unica rivolta di schiavi che si concluse con la creazione della prima Repubblica Nera indipendente e moderna, che con il tempo si rivelò essere la base di appoggio di tutte le rivoluzioni e lotte di indipendenza che hanno scosso la parte Ovest dell'Atlantico: dal Cile fino agli Stati Uniti - lasciateci presentarvi gli alti e bassi della Missione Umanitaria SOS Haïti Malaki ma Kongo.

Quando mettemmo piede a Santo Domingo, capimmo che la parola "Haiti" - tradizionalmente assimilata alla povertà - aveva curiosamente cambiato veste. Haiti era divenuta sinonimo di dollari americani. E il nostro accompagnatore Elien Isac, presidente di Malaki ma Kongo Haiti, che facemmo venire a Santo Domingo a prenderci al nostro arrivo, ci consigliò di non prendere i grandi e bei bus turistici per evitare problemi alla dogana. Si sapeva che gli "stranieri portatori di aiuto umanitario" prendono questi bus. E alla frontiera, il Governo haitiano aveva ordinato di bloccare tutti i bagagli di aiuto umanitario oppure di sovratassarli, fino a 15.000 dollari a valigia, a causa del fatto che la Comunità Internazionale ritiene che il Governo haitiano non sia in grado di gestire gli aiuti umanitari.
Così per nascondere le nostre valigie, dovemmo togliere tutte le etichette con scritto “Medical Aid / “Humanitarian Aid" dalle valigie e infilarle dentro a sacchi neri di plastica, sigillandoli con del vecchio nastro adesivo. Prendemmo i mini bus ordinari per non attirare l'attenzione degli Ufficiali haitiani. Ma anche queste precauzioni non ci fecero passare inosservati. Almeno però riuscimmo in un primo momento a far abbassare le sovratasse doganali da 15.000 a 1.500 dollari grazie a Elien Isac, il nostro accompagnatore, che si era premunito di preparare i documenti appropriati. Lui è giornalista di una delle radio più importanti di Port au Prince, la « Radio Planète Kreyol », e riuscì ad utilizzare tutta la sua influenza e farci passare senza alla fine pagare nulla.

Il problema è che da una parte c'è la Comunità Internazionale che ritiene il Governo haitiano inadatto a gestire i fondi, le donazioni e gli aiuti umanitari destinati ad Haiti. Essa vuole farli gestire dalle grandi ONG internazionali. Dall'altra c'è il Governo haitiano che quando va da un Paese all'altro alla ricerca di aiuti, gli viene risposto che hanno già donato gli aiuti alle organizzazioni internazionali. Questo frustra il Governo di Haiti, che in questo “gioco di ping pong” si ritrova mani e piedi legati. In risposta a tutto ciò si è detto: "Voi ci tagliate fuori da tutte le fonti di aiuto e al di fuori dal Paese, allora noi tasseremo tutti gli arrivi degli aiuti umanitari in modo che arrivi qualcosa anche a noi per gestire l’emergenza nel nostro Paese". Quindi blocca gli aiuti alle frontiere o impone delle sovratasse per obbligare la Comunità Internazionale a negoziare. In questo braccio di ferro è il popolo haitiano a soffrire.


Alla fine raggiungemmo l'emblematica città di Port au Prince, accolti dal mare uscito smisuratamente dal suo lido, dai campi dei rifugiati e dalla meravigliosa statua delle "Tre mani di Aristide"che sostengono il Globo terrestre. Curiosamente, questa statua, situata vicino all'aeroporto, che rividi per l'ennesima volta dopo il 2002, sembrava parlarmi. Sembrava dirmi: "Non preoccuparti Masengo, le mie mani vegliano su Haiti Mama Libertè! Se 206 anni fa Haiti rifiutò la schiavitù e scelse il cammino della libertà e dell'indipendenza, oggi tutto ricomincia, il lupo si è ritravestito da agnello. Ma non ti scoraggiare Masengo, li smaschereremo tutti... Non torneremo mai più nella schiavitù dei coloni. "

Ah! Siamo arrivati al Campo di Marte, questo grande e storico luogo della rivoluzione haitiana, completamente irriconoscibile, preso d’assalto dalla popolazione impaurita dalle ripetute scosse di terremoto. Mi venne sussurrato all'orecchio che tutto era crollato ad eccezione del Museo di Storia Haitiana e delle Statue della Memoria. Mi precipitai per andare a salutare la mia amica: la statua «Nèg Mawon » (Negro Fuggiasco). Inghiottita da tutto il chaos di tende prefabbricate, si sono per fortuna presi di cura di lasciare un po' di spazio a questo negro. Eccolo là il mio Nèg Mawon. Fui contento di ritrovarlo sano e salvo, e approfittai dell'occasione per andare a dedicargli due poemi, uno in lingua francese e uno in kikongo, di cui ecco qui qualche strofa:

Colui che è chiamato a fare lo spazzino dovrebbe spazzare le strade così come Michelangelo dipingeva, o Beethoven componeva, o Shakespeare scriveva. Dovrebbe spazzare le strade così bene che tutti gli ospiti del cielo e della terra si dovrebbero fermare per dire che qui ha vissuto un grande spazzino che faceva bene il suo lavoro.
MARTIN LUTHER KING

E quando iniziai la poesia in kikongo, due giovani haitiani, benchè affamati, si fermarono ad osservare uscire dalle mie labbra delle parole cadenzate in una lingua magica alle loro orecchie.
« Buaketi ba Nsi ! Weti kudelekesa ni kubaka Nga kuo lubwetete na mu kanga ga lutetete Ha nto za tsiozi zaadi ba kua ndikila Ndundundu, mundumbu mu bulundu Ka buaketi ba Nsi, buabuneeenn! Ka buaketi ba Nsi, buabuneeenn!

(“un altro mondo è possibile”)
« Buaketi ba Nsi, di Muanga Sengha»

Dopo esser entrato in comunione con gli antenati, gettai uno sguardo furtivo attorno a me e... vi ritrovai un po' di tutto, tutto quello che la gente era riuscita a recuperare per potervici passare la notte: tende di cartone, tavole, foglie di palma, stoffe, plastica o anche pezzi di stoffa o cartone buttati per terra per dormirvici sopra. Alcuni avevano improvvisato dei negozi e ristoranti di fortuna, per poterci far fruttare le poche risorse sfuggite al sisma e dire al mondo che "Haiti è viva", come quel piccolo haitiano che - dopo due settimane passate sotto le macerie, senza bere nè mangiare - ne uscì alzando le braccia come per dire ai suoi salvatori e alla Comunità Internazionale "Haiti è una fenice che rinasce sempre dalle proprie ceneri e nulla si farà ad Haiti senza gli haitiani.”

Haiti Anno Zero, è quello che si percepisce attraverso i discorsi nei media occidentali con la negazione dell'esistenza di tutte le Autorità ad Haiti. Una volontà secolare di voler cancellare Haiti dalla mappa del Mondo, come se Toussaint Louverture, Dessalines, Kapua Lamort e altri non fossero mai esistiti. È vero che Haiti è stato davvero fortemente scossa, cominciando dalla cupola del suo prestigioso Palazzo Presidenziale che si è ritrovato a terra, ma basta solo questo per dire che lo Stato di Haiti è inesistente? Tutti i giorni la stampa internazionale amplifica la miseria, il brigantaggio ad Haiti, ma non la sua bravura, le sue azioni di dignità, di resistenza, di silenziosa lotta contro la miseria: tutto questo passa inosservato. Non è là l'albero che nasconde la foresta? Non ci resta che ricreare Il Codice Nero

Il nostro punto di arrivo è Montagne Noire, una periferia della città, subito dopo Pétionville, precisamente da Elien Isac, maestro di vudù di quarta generazione, Presidente di CECILE e MALAKI MA KONGO Haiti . Qui il terremoto non ha fatto danni troppo ingenti e i membri di Malaki ma Kongo Haiti che rimasero feriti vennero qui a trovare rifugio. L'indomani, dopo aver preso contatto con gli altri responsabili di Malaki ma Kongo Haiti, spiegammo loro il senso della nostra missione, ripartita in tre fasi come segue:
1- Portare alle comunità haitiane di Malaki ma Kongo Haiti degli aiuti per le cure di emergenza e alimentazione (3 mesi)
2- Attualizzare il programma di accompagnamento nel campo educativo, agricolo e di piccolo allevamento (nei prossimi 12 mesi)
3- Creare un'unità interna di sostegno all'agricoltura, allevamento e educazione (nei prossimi 18 mesi)

Presto detto e presto fatto, ci mettemmo dunque al lavoro. Il maestro Elien ci portò prima di tutto alla Radio Planète Kreyol dove egli conduce tutti i giorni un'emissione, "Kiltir Kreyol" (Cultura Creola) per spiegare al grande pubblico l'obiettivo della nostra missione e le difficoltà di trovare riso da comprare a Port au Prince. Infatti girammo la capitale per due giorni in cerca di riso, alimento base che è divenuto un lusso in Haiti. Andammo perfino a vedere le "grandi" ONG umanitarie per vedere se ci potevano vendere dei sacchi di riso. ...niente da fare: una ONG internazionale europea (di cui non faremo il nome), ci sballottò a destra e sinistra, proponendoci alla fine dei sacchi di caramelle da donare a dei bambini che hanno fame da due mesi…: avendo a questo punto veramente rasentato il ridicolo, mi ricordai che mi trovavo sul suolo haitiano, e che questo paese ha un conto aperto con le potenze colonizzatrici e schiaviste che da sempre chiedono ad Haiti di spogliarsi dei propri diritti, della propria spiritualità, di tutte le proprie divinità, in particolare oggi che la terra ha tremato e che tutti i suoi simboli sono stati rasi al suolo…

Rimaneva da vedere se in questo braccio di ferro gli haitiani si sarebbero spogliati della loro identità, di cui sono fieri, per piegarsi alle nuove forze neocoloniali, le stesse che da due secoli hanno organizzato un embargo intorno ad Haiti per evitare agli altri paesi la contaminazione da “sindrome del male haitiano”: la libertà, l'uguaglianza, la fratellanza, la gioia di vivere insieme rispettando ognuno. Nella logica politica occidentale, l'aiuto gratuito nelle relazioni fra Stati non esiste. Il terremoto che ha raso al suolo Haiti è dunque un'occasione per tutte le potenze coloniali sconfitte in passato di riprendere il controllo.

Grazie a Dio, un colpo di telefono di un amico di Elien ci permise di trovare del riso in un magazzino della periferia. Affittammo un camion, comprammo dei sacchi di riso, dello zucchero e dell'olio. Coprimmo tutto con delle tavole, per evitare di suscitare la gelosia degli altri affamati lungo la strada, perchè “un ventre affamato non ascolta”, si dice. Ed ecco che partimmo così verso l'entroterra del paese. Haiti significa "terra alta", e cominciammo a comprenderlo sempre più, mano a mano che salivamo. La strada montava ripida, la vista della città era sempre più lontana dietro noi e lasciava spazio a un paesaggio di montagna fatto da grosse rocce e da ghiaia. La strada era molto stretta, irta e si perdeva nelle montagne.
Dopo tre ore il camion si fermò, non potendo superare un tratto di fiume troppo profondo.
Dalla montagna cominciarono a scendere uomini, donne e bambini, presero uno o due sacchi sulla testa o sul dorso d'asino, senza dimenticare le medicine, e proseguimmo lungo il fiume, da una parte all'altra dello stesso. Tre ore di cammino lungo il fiume, poi ancora altre tre ore di salita su queste montagne rocciose e con le grotte dove si ritirarono Toussaints Louverture e i suoi soldati per pianificare altri attacchi per combattere contro gli schiavisti.
Eravamo sfiniti, la notte era già fonda, per fortuna una bella luna schiariva il sentiero. Quelli che trasportavano sacchi da 25 kg sulla testa rallentarono il passo per aspettarci, come se fossimo stati noi i terremotati e affamati. Partiti alle 19,30, fu alle 01,20 che gli ultimi del nostro gruppo arrivarono a MAKONGO, uno dei villaggi che costituiscono Bellefontaine. Io non ero in gran forma e fu a dorso di cavallo che terminai gli ultimi 40 minuti di cammino.


La Vita a Makongo- BelleFontaine
É il nostro compagno di viaggio, l'italiano Daniele Sciuto, medico di Find the Cure, l'associazione sorella di Malaki ma Kongo in questa prima fase della missione, che ebbe il privilegio di raccontarci quello che vide al villaggio di Makongo, un nome molto simile a quello della nostra associazione. "Erano tutti là ad aspettarci, al buio. Sembravano numerosi, mi diedero la mano, quasi increduli che fossimo arrivati fino a lassù. Di già una pentola di acqua bolliva sul fuoco di legna, e subito cucinarono del riso con un po' di fagioli Congos. Tutti insieme, mangiarono come se si fosse trattato del più buon piatto del mondo. Raschiarono la pentola fino all'ultimo chicco. Se potessi farvi un regalo di ringraziamento, vi offrirei per un istante la vista di quella cena, varrebbe più di tutte le mie parole. Cari amici che ci avete dato dei doni da portare ad Haiti, quando vi chiederanno: "Cosa avete fatto per Haiti?" potete rispondere con orgoglio "Abbiamo portato del cibo e dei medicinali alla popolazione di Bellefontaine." Credetemi, ditelo semplicemente e senza paura, e soprattutto quelli che conoscono bene Haiti rimarranno attoniti e non crederanno alle loro orecchie. Pensate infatti che da quando Bellefontaine esiste, sono il primo medico ad averci messo piede."

Tutto cominciò con un SOS lanciato da Malaki ma Kongo che diceva esattamente così:
“Haiti è sotto choc. L'associazione Malaki ma Kongo chiede la vostra generosità per aiutare i feriti di Montagne Noire, uno dei quartieri della periferia di Port au Prince, spesso dimenticata negli aiuti umanitari, e dove Malaki ma Kongo-Haiti è installato dal 2002.
I fondi serviranno a:
- Aiutare per le cure di emergenza
-rinforzare il nostro programma di accompagnamento delle piccole attività agricole e del piccolo allevamento.
Il mondo è uno solo, prendiamone cura."

Il giorno seguente dalle 9,00 alle 19,30, in un villaggio dove perfino la luce di candela è un lusso, fino a notte fonda curammo circa 150 malati. Fummo costretti a fermarci per mancanza di luce, nonostante la domanda di cure non faceva che crescere. Era per noi un dovere umano portare il nostro sostegno alle comunità di Malaki ma Kongo Haiti, e soprattutto a Makongo-Bellefontaine, il villaggio natale di Elien Isac, sperduto su delle montagne pressochè infinite. La distribuzione del riso si fece tranquillamente e ciascuno dei malati ripartiva tutto contento. Alla nostra partenza per un altro villaggio, nel primo mattino, un'anziana del villaggio strinse la mano a Daniele Sciuto fra le sue piccole mani e disse: "Grazie e arrivederci, ma sicuramente non su questa terra". Dopo aver visto per la prima volta un medico moderno nel suo villaggio all'età di 75 anni , aveva pensato che questo evento meraviglioso non si sarebbe ripetuto che dopo un altro secolo.
Secondo il dr. Daniele Sciuto, curammo circa 150 persone al giorno nei quattro villaggi che visitammo. E questo fu meraviglioso, perchè in tempi di crisi la gente diviene irrequieta e aggressiva davanti al cibo, fino al punto di combattere e litigare per esso. Ma il contatto creato con le visite mediche ridonò loro speranza e creò un'atmosfera di stima e aiuto reciproco.

Per concludere, possiamo dire che avevamo avuto ragione di preoccuparci. All'epoca del mio ultimo viaggio in Haiti nel 2008, subito dopo gli uragani, avevo notato che l'aiuto umanitario si era fermato a Port au Prince. Questo è ciò che spiega le nostre grida di SOS per Haiti Malaki ma Kongo dopo il terremoto di quest'anno.
Allora come oggi, non c'è nessuna traccia di aiuti umanitari nell'entroterra di Haiti, tuttavia anche qui la terra ha tremato, anche in questi angoli remoti le case sono cadute. Con la differenza che qui si vive ancora più isolati dal resto del mondo e privi di tutto. Al nostro ultimo passaggio a radio Planet Kreyol, abbiamo difeso l’entroterra del paese. Abbiamo insistito sulla quiete, la dignità, il coraggio della popolazione di BelleFontaine. Malgrado la carestia, la miseria la sete e la durezza dei tempi della vita sulle montagne, queste popolazioni che vivono nei sentieri dove camminava Toussaint Louverture chiedono ai governanti ed alla Comunità Internazionale solo una cosa, IL RISPETTO DEI DIRITTI DELL’UOMO.

Le ultime notizie da Haiti che ci sono pervenute dicono che dopo il nostro soggiorno in Haiti e tutto il baccano che ne ha seguito nella stampa haitiana, una delegazione di giornalisti italiani, 8 in totale, ha finalmente lasciato la sua “isoletta dorata” di Port au Prince, dove conduce una vita da gran signori, per recarsi a Belle Fontaine, e alcune associazioni ed organizzazioni di massa haitiana cominciano a chiedere i conti alle autorità nazionali ed internazionali

Il viaggio è stato faticoso, duro, ma allo stesso tempo bello e siamo pronti a rifarlo per il grado di umanesimo che comporta. L'ultima notte, al Centro CECILE MALAKI Ma KONGO, le cure per i membri delle associazioni dei vudù, cominciate alle 18H00, proseguirono fino alle due della mattina. Un certificato di onore e merito per l'aiuto alla popolazione haitiana fu attribuito a Masengo e Daniele durante una manifestazione di danza tradizionale che proseguì fino a mattina.

Un grande Grazie a quelli che hanno creduto, hanno sostenuto e vorranno sostenere ancora la nostra Missione SOS Haiti Malaki ma Kongo.

Il nostro lavoro infatti non si conclude qui.
Dopo la fase di emergenza c'è ora la fase di sostegno nella ricostruzione di Haiti.
Vogliamo combattere la fame e la povertà attraverso la seconda fase del nostro progetto, che prevede un programma di agricoltura e piccoli allevamenti. Senza grandiose pretese, ma con il solito nostro modo di agire magari modesto, ma CONCRETO e diretto. E soprattutto, A FIANCO DEGLI HAITIANI.

Maggiori aggiornamenti saranno pubblicati su questo blog.

... restate con noi.


Masengo ma Mbongolo
Coordinateur Général du Tricontinental
Malaki ma Kongo
+39 349 33 29 339
info@malakimakongo.net
www.malakimakongo.net

Bua keti ba Nsi Buabuneen !!!" un altro ONU è possibile...


lunedì 8 marzo 2010

Missione compiuta

Pubblichiamo di seguito un resoconto della missione "SOS Haiti Malaki ma Kongo" scritto da Daniele Sciuto di Find the Cure (Mission OH), partito per Haiti con Masengo ma Mbongolo lo scorso 23 febbraio e appena tornati.

"Siamo rientrati. A questo giro è parecchio difficile scrivere qualcosa. Qualcosa che abbia senso, che abbia una testa e una coda, un inizio e una fine, o almeno un verso. E’ faticoso, eppure non lo è mai stato faticoso scrivere. Ma forse è solo la stanchezza, che dopo due giorni è ancora nelle gambe e nella testa. Scriverò poco per adesso, vi lascio le immagini, perché so, che chi ci segue ha occhi che sanno guardare.

Da quando abbiamo messo piede a Santo Domingo, la parola Haiti negli occhi di chi ascoltava si trasformava in dollari. La corriera grossa, quella che trasporta i turisti, non l’abbiamo potuta prendere. Sanno che i bianchi prendono quella corriera, e alla dogana bloccano tutti e tutti i bagagli e chiedono tasse. Si, chiedono tasse sugli aiuti umanitari. La comunità internazionale ha deciso che il governo di Haiti non è in grado di gestire tutta l’enormità di fondi che sono arrivati. Quindi la gestiscono loro e le grandi ONG. “ A si”, dice il governo Haitiano, “voi ci tagliate fuori, e allora noi tassiamo le entrate così qualcosa prendiamo”. Via, iniziano il braccio di ferro. Chiuse tutte le dogane, controlli su tutto e tasse su tutto. Container che si accumulano, file interminabili, aiuti sempre più lenti e bloccati. 15.000 dollari per ognuno dei nostri borsoni con i farmaci, volevano. Piano B allora. Preso pulmino scassato, tipicamente haitiano, con soli haitiani e Masengo che passa inosservato ed io, un po’ molto meno. Strappate tutti le belle etichette Find The Cure Medical Aid dai borsoni e messi in sacchi neri con tanto di nastro vecchio. 11 ore di pulmino. Urla, grida e confusione alla dogana, un diversivo, ma alla fine i borsoni passano. Si sfiora la lite, spintoni, urla, per 5 pulciosissimi dollari. Port au Prince, è quello che è, lo sapete, fior di giornalisti e fotografi sono venuti qui a tentare il loro posto nella fama. E’ rotta, ammaccata, in maniera irregolare, case distrutte a fianco di case integre, sembra più l’esito di un bombardamento che un terremoto. In ogni area verde o piazzale ci sono tendopoli, ma non quelle montate in abruzzo, sono un ammasso di teli di plastica tirati uno sull’altro, una babele di colori e povertà estrema. Non puoi sbagliarti dove sono i campi dei senza casa, l’odore di urina lo senti a distanza di due isolati, poi compare il campo. Qualche doccia e lattrina chimica comune è posta fuori ai bordi. Vivono li, panni stesi, fornelli e dignità, anche se è una condizione alla quale nessun essere umano dovrebbe essere costretto a vivere. E chissà per quanto tempo. Ma la città brulica di vita, tutto scorre nel caos insieme alle macerie come se nulla fosse.

Montagne Noire, dove siamo noi, è alla periferia della città, subito sopra Petionville. Stiamo con Elien, Haitiano, maestro di vodoo da tre generazione. La sua è una casa popolare, arroccata ad alveare in mezzo a case popolari, costruita con quel finto cemento che il terremoto ha tirato giù con facilità. La sua no però, è rimasta su. Non ci sono rubinetti, l’acqua arriva nei bidoni e ci si lava nel cortiletto insieme a tutti. La lattrina è fuori, con vista sui tetti di lamiera delle baracche sottostanti. Ci lascia la sua stanza e lui dorme in una stanza del suo piccolo tempio vodoo. Ci sono altre tre famiglie che hanno perso la casa che adesso sono ospiti li. Dormono sotto una tettoia, anche i più piccolini. E’ duro, scomodo, ma si vive con loro, si mangia con loro, ci si lava con loro, si fa cacca alla latrina con loro, si diventa amici con loro ogni giorno. Il riso da comprare e distribuire non riusciamo a trovarlo, è tutto nei magazzini delle ONG, c’è una gara a chi è più potente, chi fa più cose, chi ha più materiale, ma alla gente haitiana sembra che non arrivi niente. Ci rivolgiamo a una grossa associazione, sappiamo che ne hanno tanto, chiediamo di poterne comprare un po’ perché dobbiamo portarlo nell’entroterra dove nessuno va. Ci fanno perdere tre ore, tante parole, tanti passaggi da un responsabile all’altro, vogliamo riso, ci dicono che ci possono dare caramelle per i bambini. Caramelle? Ma siamo venuti qui per dare da mangiare, la gente ha fame. Lasciamo stare, niente nomi comunque, meglio così, c’è di mezzo anche l’Italia.

Una soffiata ci fa trovare il riso in un negozio di periferia. Affittiamo camion, compriamo 60 sacchi da 25 kg, (1250 goods, 33 dollari, a sacco) 5 sacchi di zucchero, e 10 scatole di olio. Copriamo tutto con dei teli, ci sono predoni per le strade, che attaccano i camion con il mangiare. Poi via verso l’entroterra. Haiti significa “Terre alte”, e comincio a capirlo. La strada sale ripida, abbandona la vista della città per aprire un paesaggio di montagna fatto di pietra. La strada è sconnessa, e intendo tanto sconnessa, corre lungo un crinale. Dopo tre ore il camion si ferma, un guado troppo profondo. Dalla montagna, come per un richiamo cominciano a scendere, uomini donne e bambini, ci sono tutti intorno, prendono un sacco a testa, alcuni due, e i borsoni dei medicinali e ci incamminiamo su per il fiume. Tre ore di cammino nel fiume, poi tre ore di cammino in salita. Noi siamo sfiniti, è notte fonda, per fortuna una bella luna illumina il sentiero. Loro con i sacchi da 25 kg sulla testa rallentano per aspettarci. All’una di notte arriviamo alla meta: il villaggio di Belfontain. Sono tutti li ad aspettare nel buio. Sembrano tanti, mi stringono la mano, quasi increduli che siamo arrivati fino lassù. Un pentolone di acqua bolle già su un fuoco fatto di legna, subito cucinano il riso. Tutti insieme. Lo mangiano come se fosse il piatto più buono del mondo. Raschiano il fondo fino all’ultimo chicco. Se potessi farvi un regalo di ringraziamento, vorrei regalarvi per un attimo la vista di questa cena, varrebbe più di tutte le mie parole. Cari amici, che ci avete dato le donazioni da portare ad Haiti, quando vi chiederanno “cose avete fatto per Haiti” potete rispondere con orgoglio “abbiamo portato cibo e farmaci alla popolazione di Belfontain” credetemi, ditelo pure senza timore, e soprattutto chi conosce Haiti vi farà occhi stupiti e meravigliati. Sono il primo medico che mette piede da sempre a Belfontain. Non pensavo neanche io, ho solo seguito Elien, è lui che ha chiesto aiuti per questa gente, e qui che lui è nato, non lo ha dimenticato e continua ad aiutarli il più che può. Il giorno dopo visite tutto il giorno, fino al buio, e distribuzione del riso, per famiglie per numero di persone. Poi il giorno dopo di nuovo, in un altro villaggio. “Grazie” mi dice l’anziana del villaggio stringendomi una mia mano con due delle sue, “arrivederci, ma non su questa terra”. Sono il primo medico che vede in 70 anni, difficilmente pensa di vedermi ancora. A volte è difficile, la gente davanti al cibo diventa aggressiva, si litiga, si picchia. Ma il contatto che si crea durante le visite mediche fa si che si crei un atmosfera di stima e aiuto reciproco. E tutto va bene. Non c’è traccia di aiuti umanitari in tutto l’entroterra, eppure la terra ha tremato anche qui, eppure le case sono cadute anche qui, eppure qui sono ancora più isolati e sprovvisti di tutto. Sembra un posto non adatto all’uomo, fatto di pietre, impervio. Ma vivono, e sono in tanti, migliaia, famiglie e madri con un sacco di figli. E camminano su e giù per questi sentieri come se fosse pianura, con un sandaletto o magari scalzi. Camminano per andare a prendere l’acqua 40 minuti più in basso, per trovarsi, per raccogliere le patate dolci o le banane. Questo è il popolo Haitiano, e quando dopo quindici giorni lo estraggano da sotto le macerie, in televisione si vede che alza le braccia in segno di vittoria. Perchè è un popolo duro, che sembra ostile, ma è forte, ha ricacciato l’esercito di Napoleone, con papà Salinas ha preso la sua indipendenza, e ha fatto da esempio a molti. Ma questo fa paura. Fa paura all’occidente,e soprattutto all’America. Haiti deve rimanere povera.

Si è sparsa la voce, che una piccola scheggia impazzita della macchina degli aiuti umanitari vive con gli haitiani e con loro sta portando aiuti alle popolazioni dell’entroterra. Così ci chiamano alla radio di Port au Prince, Kreyol 106.5, Un’ora di intervista su come è la situazione dell’entroterra. “Che messaggio volete lanciare al popolo di Haiti?” mi chiede alla fine Samba El, lo speaker “Che Haiti capisca che è un momento importante questo, nonostante la disgrazia, che ha tanti riflettori puntati, che non pensi solo ai dollari, dollari, dollari, perché finiranno presto, ma pensi a costruire il paese per un futuro forte e indipendente. Forza, buon lavoro”. Ma mentre lo dico non ci credo neanche io, non per gli haitiani, ma per tutti questi attorno che gli hanno invaso l’isola sotto il nome di aiuti umanitari. Abbiamo girato tutti i giorni, a piedi, in motorino, in pulman, con camionette, nei mercati e per le strade centrali, ma non abbiamo mai incrociato un bianco. Ma dove sono tutti i bianchi? Dentro i fuoristrada, centinaia di centinaia di fuoristrada nuovi di pacca fiammeggianti intasano le strade di Port au Prince. Nei supermercati a fare la spesa, quando fuori il mercato delle donne pullula di materiale e i soldi andrebbero direttamente alla famiglia, nei locali notturni dove la birra locale Prestige costa 1500 goods, 6 dollari, nelle comode roccaforti dove si gioca a salviamo il mondo. Ma lasciamo stare, non è questo il momento di parlarne.

Comunque, affitto di camion, acquisto, carico e distribuzione di riso, altri 60 sacchi, e visite mediche, così tutti i giorni. Fino a tardi, fino alla fine dei giorni, fino alla fine dell’ultimo dollaro che ci è stato donato in Italia con il preciso incarico di spenderlo per la gente terremotata. Lo abbiamo fatto, contro ogni mia aspettativa personale, ed è stato faticoso, ma è stato forte. E l’ultima notte, finite le visite alle due del mattino il popolo haitiano si scioglie, e ci consegna un certificato di onore e merito per l’aiuto alla popolazione haitiana. Ma abbiamo fatto poco. Forse è il come. Ci circonda e a turno stringono prima la destra e poi la mano sinistra incrociandole. Merci. E i tamburi vodoo vecchi di 300 anni cominciano a suonare, fino all’alba, fino ad accompagnarci alla corriera. Per questa sera e per questi giorni insieme, anche se limitati, per questa gente, anche se poca, per noi ospiti in questa terra anche se solo in due, la fame e il terremoto sono stati lontani.

Grazie a chi ha creduto con noi e forse anche più di noi."

Stiamo ora lavorando al proseguimento del progetto per Haiti; pubblicheremo immagini e filmati appena pronti, su questo blog e sul sito di Malaki ma Kongo.

L'impegno continua, restate con noi...


lunedì 1 marzo 2010

Saluti da Haiti

Ore 22.30.
Squilla il telefono.
E' Masengo, finalmente la comunicazione telefonica riesce!
Al momento della chiamata Masengo (Malaki ma Kongo), Daniele (Find the Cure) ed Elien (Malaki ma Kongo-Haiti) si trovano a Port au Prince; hanno appena finito di passare alla radio Planèt Kreyòl nella trasmissione radiofonica "Kilti Kreyòl " di Elien, la trasmissione indirizzata e molto seguita dalle comunità di base haitiane, in cui si parla di cultura, della protezione dell'ambiente naturale, dei casi di società, ma soprattutto di come curarsi con le foglie, le cortecce degli alberi e le radici quando mancano le medicine. E ora che le medicine sono arrivate, si fa informazione su come utilizzarle aprofittando della presenza degli amici venuti dall'Italia. Durante l'emissione c'è una forte interazione con il pubblico, che ha l'occasione di porre tutte le domande sui problemi che li riguardano.

Primo giorno nella capitale dopo gli ultimi passati nei vari paesini delle montagne a distribuire cibo, cure mediche e medicinali, dove non c'è assolutamente rete per telefonare, i caricatori dei cellulari di Masengo e Daniele erano rimasti al villaggio in montagna e quindi erano senza telefono. Ma alla radio sono riusciti a caricare, ed è così che finalmente la comunicazione ha avuto luogo. Fa sole e caldo a Port au Prince. In montagna invece aveva piovuto e faceva freddo.

Masengo racconta che sono molto stanchi; stanno lavorando un sacco per trasportare kili e kili di medicine e viveri nelle zone più remote delle montagne. Elien si sta facendo in quattro per riuscire a portarli in più posti possibili; lui stesso continua a curare gli ammalati assieme a Daniele; visitano circa 150 persone ogni giorno.

La comunicazione passa a Daniele; le sue prime parole sono "Stiamo facendo l'impossibile, qui. Siamo davvero gli unici... però quello che è positivo è che stiamo riuscendo a lavorare molto più di quello che avevamo previsto. Elien è felice. E' una persona meravigliosa. E con Masengo abbiamo una grande affinità che ci ha portati a costruire una bellissima squadra qui ad Haiti."

Si sente una carica positiva dal timbro delle loro voci, la soddisfazione di lavorare con persone di grande spirito che insieme riescono a raggiungere risultati positivi pur in condizioni estreme e difficili.

Infine la comunicazione passa ad Elien, che faccio appena in tempo a salutare quando la scheda telefonica mi tradisce con quella vocina che spunta all'improvviso dicendo "thirty seconds remaining"... così in fretta lo saluto e gli porto gli auguri di buon coraggio e buona fortuna da parte di tutte le persone che dall'Italia hanno sostenuto e sostengono questa missione; Elien ringrazia e sta per chiedere qualcosa ma.... click. La linea cade.
Mannagg....

Comunque fa piacere di sapere che le cose si stanno muovendo bene.
Di sicuro di lavoro ce n'è ancora tanto da fare e ce ne sarà anche per i prossimi mesi.
Noi non molliamo; continueremo a organizzare e partecipare a raccolte fondi per non abbandonare queste comunità montane di Haiti che FINALMENTE almeno questa volta hanno ricevuto un po' di solidarietà e sostegno in tale tragico momento. E hanno saputo che c'è qualcuno che può arrivare fino a loro, che non sono soli!!!

Ricordiamo che chi vuole aiutarci a sostenere il progetto "SOS Haiti Malakimakongo" può inviare una donazione via Paypal o carta di credito tramite il nostro sito all'indirizzo http://www.malakimakongo.net/index_IT.htm
oppure via bonifico bancario presso il nostro conto (ass. Malaki ma Kongo) in Banca Etica
IBAN: EU IT 07 X050 1811 8000 0000 0511 470
causale: SOS Haiti

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Restate con noi...